Giulia la ragazza più bella della zona malata di AIDS seconda parte.

A quei tempi non era chiaro come si trasmettesse la malattia, credo neanche adesso e tutti si erano posti la domanda come comportarsi sia con lei che con la famiglia

Era la madre che andava a fare la spesa, che girava per il paese e la paura che fosse lei a poter trasmettere il virus per molti era una cosa reale.

Si parlava ai quei tempi che bastava la saliva, assolutamente falso, una stretta di mano falsissimo, e via dicendo ma come il covid all’inizio ognuno diceva la sua.

Giulia in realtà per i primi tempi praticamente si era vista raramente, quando l’avevo intravista aveva perso tutta la sua bellezza, irriconoscibile.

Inoltre era partita la voce che la sorella a sua volta avesse contratto la malattia.

La sorella era carina ma non paragonabile alla Giulia . Comunque in molti avevano cominciato a prendere le distanze anche da lei. Viveva in casa con una malata e quindi poteva a sua volta trasmettere il virus, nel dubbio era meglio evitare.

Ora io non farò l’anima bella la mia ignoranza era pari a quella degli altri.

Come non si trasmette il virus

Il virus non si trasmette attraverso:

  • strette di mano, abbracci, vestiti
  • baci, saliva, morsi, graffi, tosse, lacrime, sudore, muco, urina e feci
  • bicchieri, posate, piatti, sanitari, asciugamani e lenzuola
  • punture di insetti.
  • Il virus non si trasmette frequentando:
  • palestre, piscine, docce, saune e gabinetti
  • scuole, asili e luoghi di lavoro
  • ristoranti, bar, cinema e locali pubblici
  • mezzi di trasporto.

A quei tempi diciamoci la verità non eravamo proprio convinti che fosse tutto vero e per precauzione era meglio evitare. I casi erano rari almeno dalle mie parti e quindi in realtà torti non ne abbiamo fatti.

Il ragionamento era semplice: PERCHE’ RISCHIARE SE NON C’E’ NECESSITA’. La madre e la sorella in qualche modo erano state obbligate ma gli altri no era una scelta personale. SE NON C’E’ UNA SPINTA EMOTIVA E’ NATURALE NON ANDARE OLTRE.LE PERSONE SI LIMITANO ALLE NOZIONI BASI E SPESSO AL SENTITO DIRE.

In quel periodo erano partite le prime cure che avevano effetto e Giulia fortunatamente aveva reagito positivamente.

Giulia appena era stata meglio si era trasferita e di lei non avevo avuto più notizie.

Dopo qualche anno al mattino ero al bar quando mi era stato detto di leggere la pagina locale.

Giulia si era schiantata in motorino mentre tornava all’alba, lavorava per un’impresa di pulizie.

Stava male ma era andata a lavorare lo stesso e al lavoro gli avevano dato qualcosa per il mal di testa che aveva abbinato a quello già preso prima di partire per il lavoro e pare avesse fatto una reazione avversa . ( mai dare farmaci alla cazzo potreste finire nei guai)

Ora il motivo della sua morte non si è mai saputo esattamente ma non è morta di AIDS. Tutte le colleghe ne avevano parlato bene. Ma si sa quando si muore tutti parlano bene di te. Morite se volete che parlino bene di voi.

E’ stata seppellita accanto al padre e quando vado a trovare i miei passando vedo ancora la sua foto di quando era bellissima e desiderata da tutti.

Nella mia vita non ho più avuto conoscenza di persone malate di AIDS , forse perché grazie alle cure oggi si può vivere una vita normale e non è necessario doverlo raccontare in giro. (giustamente)

Io ho sempre usato in gioventù per precauzione il preservativo anche prima dell’avvento dell’AIDS, nel blog c’è non so dove un racconto sui preservativi, tanto per dire che non mi invento qualcosa adesso per fare la parte del più furbo, tra l’altro non ne ho bisogno. ( sarò pirla)

PS dimenticavo come si prende

  • sessuale: attraverso rapporti etero o omosessuali non protetti da un efficace metodo di prevenzione (profilattico, PrEP – profilassi pre-esposizione o U=U )
  • ematica: scambio di siringhe o condivisione di strumenti per l’uso di sostanze psicoattive; trasfusioni di sangue contaminato
  • verticale: da madre a neonato durante la gravidanza, al momento del parto e, più raramente, attraverso l’allattamento al seno.

17 pensieri riguardo “Giulia la ragazza più bella della zona malata di AIDS seconda parte.

  1. Effettivamente non conosco nessuno che ammetta di avere l’AIDS. Eppure qualcuno lo deve pur avere… Probabilmente oggi è più facile tenerlo segreto perché immagino con le cure si fa una vita molto più dignitosa di una volta…

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    1. [Gifter] – pronti! Positivo che ti risponde al volo!

      Lo vedi? “qualcuno che ammetta di avere l’AIDS”. Lo dici anche tu come se fosse normale considerarla una condizione di cui vergognarsi e da tenere obbligatoriamente segreta. Non è, e non deve essere, così!

      C’è una bella differenza tra HIV e AIDS ma rispetto al coming out sul proprio status, nessuno si deve sentire in dovere di tenerlo segreto né di dirlo per forza al mondo stile Elena Di Cioccio, Giovanni Ciacci o Antonello Dose per citare tre personaggi con HIV più o meno famosi.

      Il problema è che se tutti stanno in silenzio, il resto del mondo crede che la condizione non esista o riguardi pochi, a me fanno più arrabbiare quei medici e psicologi vari che ti dicono “non parlarne a nessuno” quelli fanno danni perché a una persona positiva da poco, instillano l’autostigma come unica strada possibile; ecco perché sono favorevole ai gruppi di auto-aiuto almeno nella prima fase di accettazione del nuovo status.

      Ci sono genitori HIV positivi che a fine anni 80-90 hanno avuto figli positivi a loro volta dalla nascita, che fin da piccoli raccomandano loro “non dirlo a nessuno”. Vivono il proprio stigma e senso di colpa trasmettendolo anche ai figli. E poi succedono i disastri perché sono cresciute decine di ragazzi che di fatto hanno una “doppia vita”. Non contagiano nessuno grazie alle cure ma nessuno mai si accorgerà di loro.

      Con la conseguenza che, le decisioni che riguardano noi positivi, vengono sempre prese dai negativi senza interpellarci – parlo di scelte politiche, campagne di comunicazione, ecc -. Io e il mio virus ci siamo anche rotti un po’ il cazzo e l’RNA a forza di sentirli discutere alle nostre spalle.

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    2. [Gifter] – oggi dimenticavo di specificare la parte inversa:

      sbaglia chi, soprattutto medici e psicologi, ti dice “non dirlo a nessuno perché altrimenti”… Soprattutto per i neo-positivi è un problema enorme perché tali “raccomandazioni” generano una sierofobia interiorizzata che è peggio di quella esterna; professionisti così mostrano solo di volersene lavare le mani senza contare che l’HIV al giorno d’oggi costituisce una condizione più da gestire a livello sociale che clinico.

      Ma sbagliano altrettanto, e ne conosco diversi, quelli che ti urlano che DEVI fare coming out il prima possibile perché loro l’hanno fatto loro ci mettono la faccia loro non subiscono stigma e tu se non lo fai sei codardo.

      Il coming out dell’HIV, come quello LGBT o qualsiasi altra “uscita allo scoperto” rilevante, è un percorso interiore che può durare anni e che, casomai, medici psicologi ed eventualmente altre persone con la stessa esperienza, possono aiutarti a fare. Io sono “fuori” da 6 anni, su 10 di positività e ho avuto intorno persone molto care ad avermi guidato e anche fatto da spalla perché ti dico mi era difficile all’epoca anche solo guardarmi allo specchio pronunciando “io sono Alessandro e sono sieropositivo all’HIV” figurati se sarei stato capace di dirlo agli altri.

      Quando però a forza di “dai e dai” la mamma del mio attuale marito continuava a guardarmi sempre col porta-pillole e non si beveva più la scusa dell'”integratore” là è arrivato il momento e non ho permesso che fosse mio marito a dirlo. Ho voluto farlo io e affrontare la sua sierofobia a muso duro.

      Esperienza durissima, ormai superata e l’unica paura che le è restata è quella legata al sangue però quella è emofobia, non sierofobia né tanto meno omofobia.

      Ma dopo averla guardata negli occhi e averle detto “Giovanna sai non sono integratori sono i miei farmaci per l’HIV” e mio marito che non mi ha lasciato mai un secondo, ho capito che qualunque coming out del mio status avrei avuto la forza per affrontarlo. E così è stato.

      Se sono stato oggetto di stigma sierofobico? Molto meno di quanto credessi, ma resta comunque la mia esperienza personale che per definizione NON vale per tutti i positivi del mondo.

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  2. Conoscebbi personalmente una ragazza contaminata. Era sieropositiva ma non sviluppò mai la malattia in modo conclamato. Il regalo glielo fece il marito che andava a mignotte senza precaussioni. Oggi il tizio sarebbe incriminabile penalmente.

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  3. [Gifter] – scusami ma hai scritto una mezza cazzata. Effetto “copia-incolla” di un’informazione acquisita (da me fra l’altro) ma SENZA approfondirla?

    “profilattico, profilassi pre-esposizione o U=U” hai scritto! Così facendo il rischio è che uno vada in farmacia a chiedere di comprarsi un flacone di U=U …

    Mi sto strozzando dal ridere solo all’idea, cavolo perché non c’ho pensato prima! Invece dell’evento finto potevo fare un pesce d’aprile coi flaconi di U=U disponibili su ebay per poche ore a prezzo scontato.

    In giro per internet c’è stato qualche folle a vendere le fialette con la saliva piena di covid, avrei potuto confezionare caramelle di zucchero da infilarsi sai dove, scrivendo che è il sistema di prevenzione U=U e ci potrei fare pure i bei soldi! Non fosse che qualcuno potrebbe mettersi una caramella lì sotto e andare in giro pensando di proteggersi ma rischiando peggio di prima…

    Su amazon vendono un sacco di inutility. Ok tengo l’idea della burla per il prossimo aprile e ti do credit.

    Seriamente: U=U non è “un metodo di prevenzione” ma una CONDIZIONE: vuol dire “undetectable untransmittable”, “non rilevabile non trasmissibile”.

    Si riferisce alla carica virale (copie di virus per millimetro cubo di sangue): una persona HIV positiva che segue correttamente la terapia antivirale ha la quantità di virus che nel sangue si azzera -non rilevabile-, per cui anche i liquidi sessuali e il latte finiscono per perdere l’infettività e la persona NON può trasmettere il virus.

    Forse ti ha confuso il fatto della Tasp (treatment as prevention) cioè la prassi ormai consolidata di far entrare immediatamente in cura una persona che scopra di essere HIV positiva in modo tale da raggiungere il prima possibile la condizione U=U e non essere più in grado di trasmettere il virus in giro né di progredire all’AIDS perché il virus è bloccato, non si replica e non danneggia le difese immunitarie all’ospite.

    Io vivo col virus dal 2013 e ho fatto molta fatica a star dietro a questi concetti e impararli quindi non mi meraviglio se una persona come te non abbia tutte le informazioni e si confonda, certo speravo che questa Giulia fosse finita meglio – una delle tante orgogliose U=U in giro per il mondo e mi dispiace sia finita così poveretta! Proprio sul più bello che aveva tenuto la condizione sotto controllo.

    Se pensi che un mio caro amico attivista (Giulio anche lui) è morto a novembre scorso per un tumore che se l’è portato via nel giro di due anni! Anche lui U=U e con le difese a posto ma ha avuto la sfortuna di beccarsi una malattia tremenda non correlata che potrebbe accadere a chiunque.

    Piuttosto, dici un’altra cosa nel post: “non ho conosciuto altre persone con l’AIDS, forse perché adesso con le cure non lo si racconta più in giro”, lo vedi? Sta qui, il problema: se siamo noi i primi a nasconderci come diavolo possiamo pretendere che lo stigma sparisca? Quanto mi fanno incazzare tutte le persone che trovano normale, giusto, lecito che una persona HIV positiva tenga la propria condizione “segreta”. Spesso e volentieri, che uno è diabetico, lo sai. Che uno ha avuto un tumore, anche. O qualunque altra condizione cronica; perché HIV no? Lo vedi che la colpa è sempre di questa stramaledetta ipocrisia sessuofoba e moralista?

    Perché sottostare al regime del “tientelo per te”?

    Va bene: io non sono e non voglio essere quello che si fa i profili instagram e la foto in internet con nome e cognome parlando dell’HIV; mi diverto a scrivere storie col Mondo Positivo e dare contributi dove possibile ai blog altrui ma nella vita reale ne parlo e come! Al lavoro tutti lo sanno e l’unica ad aver azzardato un comportamento sierofobico guarda caso si è trovata in pochi giorni a farsi le pause pranzo e caffè da sola, casualmente nessuno le chiedeva più “vuoi un caffè?”…

    Chiaramente non tutte le persone sono tenute a saperlo; non mi interessa dirlo al veterinario del mio gatto a cui non spetta conoscere i miei affari qualunque siano. Unica cosa una volta non potevo andare all’appuntamento per il vaccino e ho avvisato dicendo “dottore passa mio marito a portare Tigra” se no neanche il mio orientamento sessuale dovrebbe interessargli.

    Ma la sfera di amici e familiari sì! Anzi proprio perché sono aperto in questo senso ho potuto allontanare alcuni stronzi e rendere consapevoli anche della prevenzione e quant’altro, gli altri: l’attivismo non è solo quello delle piazze e i grandi eventi, bisogna muoversi piano piano e nella quotidianità perché a forza di “ammetto di non conoscere qualcuno con l’AIDS” lo stigma resta tale e quale.

    Anzi: sicuramente non conoscete nessuno con l’AIDS, ma con l’HIV sì! Anche se non ve lo dicono. Perché HIV e AIDS sono due cose diverse: HIV è il virus, AIDS è la sindrome (insieme di malattie) che compare quando HIV non è tenuto sotto controllo.

    Ultima cosa sul coming out del proprio status HIV, ovviamente anche quello non va imposto: se sei tu per primo positivo a vergognartene, nessuno ha il diritto di giudicarti se non ne parli. Casomai il percorso da fare è gradualmente guidare la persona a non vergognarsene più e soprattutto dipende molto dal contesto in cui si vive.

    Domani esce un libro in proposito,”cattivo sangue” – Elena Di Cioccio. Ex conduttrice delle Iene ha fatto coming out dell’HIV la settimana scorsa. In merito ai coming out celebri casomai faccio un post quando ho letto il libro.

    Gifter.

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    1. ISS Istituto Superiore di Sanità
      EpiCentro – L’epidemiologia per la sanità pubblica Tutte le informazioni sono state prese da qui col copia incolla. Io non ho aggiunto e tolto nulla. Poi ammetto che non so di cosa stai parlando.
      Ci sono malattie che uno dice altre che fa a meno di raccontare agli interlocutori al di là dell’AIDS.
      Chiaramente è diverso nella cerchia dei parenti e amici stretti.
      Dal dottore parli di gastrite o gamba rotta.
      Una volta avere l’ AIDS significava avere un comportamento non approvato dalla società, omosessuale o drogato. Oggi le cose sono cambiate.

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      1. [Gifter] – non mi meraviglio che tu ignorassi di cosa sto parlando perché l’informazione presente è poca e confusa: difatti il copia-incolla senza approfondire, certe volte rischia di dare informazioni incomplete ma la colpa non è di noi blogger, è delle istituzioni che su U=U non hanno mai condotto una campagna nazionale.

        Figurati che ho dovuto spiegarlo anche al mio medico di famiglia.

        In quanto al dirlo o no, non deve essere un obbligo ma dottori, eventuali psicologi, i professionisti che seguono una persona con HIV nella fase iniziale dopo la scoperta, dovrebbero aiutare la persona a gestire il suo nuovo status prendendo in considerazione anche il coming out: prima, durante, dopo, eventuali reazioni di stigma, invece se ne lavano le mani dando per scontato “meglio non parlarne per non rischiare” e lo stigma continua.

        HIV ora per i pazienti è una questione da gestire più a livello sociale che medico e a questo troppi non sono (ancora) pronti, in realtà è sempre stato che il virus si legasse ai COMPORTAMENTI e non alle CATEGORIE, ma l’idea delle persone più marginalizzate come “categoria a rischio” ha dato a media e potere una zona di comfort della quale stanno ancora approfittando.

        C’è la convinzione che “se sei positivo è già tanto a star qua”, se ne fregano del nostro benessere! Continuo a pensare a quella Giulia e la fine che ha fatto. E mi vengono in mente retroscena poco carini: che lei sapesse di aver preso una combo farmaci pericolosa e col contesto in cui viveva, un po’ abbia voluto darsi il colpo di grazia. Non lo escludo. A un certo punto se hai un contesto che ti lascia solo, vorresti solo levare le tende. Aveva un lavoro sì ma chi sa come la trattavano…

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  4. Non conosco personalmente persone sieropositive o, se le conosco, non mi hanno detto di esserlo (ed avrebbero fatto bene, sono cose personali).
    Mi spiace molto per Giulia, e per tutte le persone che fanno magari un piccolo errore, con enormi conseguenze.

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  5. A prescindere da chi le abbia pronunciate, in quale contesto e per quali fini, ci sono tre semplici parole che messe insieme formano la frase che secondo me risolve quasi ogni singolo fottuto problema di questo mondo.

    La frase è: “Non Abbiate Paura”.

    Non so se nel frattempo il vaticano sia riuscito a metterci il copyright, nel caso me ne frego.

    (si, probabilmente c’è il copyright anche su “me ne frego”, ma sti cazzi. Questa risolve i problemi lasciati fuori dal “quasi” di cui sopra, quindi è patrimonio dell’ Umanità).

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  6. Quando ho avuto il crollo dell’emoglobina, in ospedale, c’erano due scuole di pensiero..i dottori favorevoli alle trasfusioni, ne sarebbero occorse almeno tre e gli altri che dicevano di no. L’ematologa sostenne che il midollo osseo dovesse essere stimolato con le sacche di ferro. Fu un periodo terribile ed un vero strazio. Ho rischiato di morire per insufficienza cardiaca ed alcuni sostenevano che la trasfusione di sangue fosse pericolosa perché, per quanto venissero eseguiti i controlli, c’era una finestra di possibilità che era ritenuta pericolosa.
    Una domenica, c’era di turno una Dott.ssa Cinese che ritenne fosse il caso di effettuare la trasfusione. La fecero malissimo peraltro e, una volta dimessa, continuarono a curarmi al centro ematologico. Avevo le braccia piene di buchi.

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